Soul Calibur
[Namco, 1998]



Legenda giudizi:
S = eccelso
A = ottimo
B = buono
C = discreto
D = sufficiente
E = scarso
F = pessimo
ING = ingiudicabile

Intro

Anno 1996: in un periodo di forte tumulto tecnologico, durante il quale le migliorie venivano apportate giorno dopo giorno e l’obsolescenza era questione di ore, Namco seppe tenersi al passo coi tempi come pochi altri creando schede da bar sempre più sofisticate e piene di risorse. Il System 11 fu una di queste, in seno ad essa nacquero e prosperarono i primi due Tekken. Prima di abbandonare il sistema, tuttavia, Namco decise di rilasciare un’ultima grande produzione, un picchiaduro all’arma bianca dal tratto moderno e vincente. Si chiamava Soul Edge e fu l’ennesimo successo per la casa giapponese.
Anno 1998: Namco ancora una volta si mostrò all’avanguardia con la potenza del suo System 12 e nell’anno della maturità di questo sistema arcade rilasciò un gioco che ne sfruttava ogni minima possibilità. Era il seguito di Soul Edge, il suo nome era Soul Calibur.


Game design

Molte cose sono cambiate dai tempi di Soul Edge: il malvagio pirata Cervantes è stato sconfitto dalla ninja Taki e la spada del male ha cambiato padrone finendo nelle imprudenti mani del cavaliere Siegfried, il quale si è letteralmente sdoppiato in un’entità malvagia chiamata Nightmare, che semina distruzione usando l’arma malefica, e in una benigna che gli dà la caccia. La ricomparsa della mitica spada scatena nuovamente una ricerca da parte dei migliori guerrieri del mondo che, per i più disparati motivi, ne bramano il possesso.
Soul Calibur è un picchiaduro a incontri ambientato in un medioevo fantasy nel quale i protagonisti si sfidano in duelli all’arma bianca allo scopo di arrivare a sconfiggere il proprio acerrimo rivale (uno degli altri lottatori) e infine il potentissimo Inferno, anima della spada demoniaca.
Tutto questo avviene tramite il sistema di controllo mutuato da Soul Edge: due tasti per i colpi con l’arma (orizzontale o verticale), uno per i calci e uno per la parata. Le varie mosse a disposizione dei personaggi si eseguono nelle maniere più disparate: si va dai tipici quarti di luna di stampo streetfighteriano a combinazioni di tasti più vicine alla filosofia di Tekken. Niente è mai troppo complicato, comunque: facendo pratica da soli si può facilmente scovare la maggioranza del repertorio a disposizione.
I combattimenti avvengono all’interno di arene fluttuanti dalle varie forme e se si riesce a far precipitare l’avversario fuori dal “ring” si ottiene il ringout con conseguente vittoria del round.
I protagonisti sono in tutto diciotto (contando anche l’inselezionabile Inferno) e quasi tutti i guerrieri di Soul Edge ritornano; fanno eccezione il dimenticabile Li Long e il cattivissimo Cervantes. Essi sono armati con gli strumenti più diversi: un nunchaku per Maxi, un’asta da combattimento per Kilik, due katar per Voldo, un’enorme ascia per Astaroth, una spada corta cinese per Xianghua e così via. Va da sé che con un arsenale così vario anche gli stili di combattimento sono radicalmente diversi e per padroneggiarne qualcuno con abilità ci vuole parecchia pratica. La cosa però non è mai noiosa o snervante: Namco ha infatti deciso di abbandonare il rigido e sin troppo schematico sistema di gioco di Soul Edge in favore di una nuova filosofia che, in seno alla comunità videoludica, farà storia.
Fluidità è la parola d’ordine del nuovo corso, col sistema di controllo che diventa letteralmente l’estensione dei comandi mentali dell’utente. Paradigma di questo metodo innovativo è la parata: il controllo tramite tasto, da sempre considerato anacronistico e superfluo, assume qui una sua identità ben precisa diventando parte del combattimento stesso e risultando comodo come non mai, rivelandosi tra l’altro indispensabile per la realizzazione di tecniche complesse. E’ infatti possibile realizzare non una, ma tre tipi di parate diverse: quella tradizionale (tenendo premuto il tasto), quella respingente (premendo avanti+parata quando il nemico porta un colpo) o quella deviante (indietro+parata sempre durante un attacco nemico). L’utilità delle parate alternative diverrà palese una volta acquisita dimestichezza col sistema di controllo, diventando un elemento strategico preziosissimo.
Il nuovo sistema di lotta trova poi ulteriore carburante in un’altra innovazione clamorosa: la corsa in otto direzioni. Abbandonato l’ultimo retaggio tipico delle meccaniche 2d, ovvero il salto eseguito premendo in alto il direzionale, ogni direzione impressa alla manopola del joystick porterà al movimento dell’avatar in quella direzione. Non un passo, ma una vera camminata veloce. Non contenta, Namco ha deciso di sfruttare al massimo l’idea dotando i personaggi di tutta una varietà di mosse eseguibili mentre si cammina in una direzione specifica, col risultato di un’arricchimento strategico senza precedenti. E’ comunque possibile effettuare piccoli salti premendo su + uno degli altri tasti (d’attacco o meno, parata compresa) ma la loro utilità è drasticamente ridotta rispetto al passato.
Altra possibilità, già vista in Tekken 3, è l’esecuzione di prese (parata+uno dei due tasti d’attacco) trovandosi di fronte, ai lati o alle spalle dell’avversario, per un totale di cinque prese standard per personaggio. La possibilità di corsa in ogni direzione e le parate alternative si dimostrano fondamentali per l’utilizzo di queste tecniche.
Da segnalare infine un fatto inutile ai fini del gioco vero e proprio ma di sicuro impatto visivo: se lasciate scorrere l’attract mode avrete la possibilità di assistere, fra le varie demo e presentazioni, a delle vere e proprie dimostrazioni di arti marziali da parte di uno dei protagonisti del gioco che, all’interno del proprio campo di battaglia, eseguirà una serie di manovre con l’ausilio della propria arma che risulteranno piacevoli da osservare e che sorprenderanno anche per il loro realismo.


Grafica

Come già segnalato, il System 12 era un sistema estremamente performante per l’epoca, ma in questo caso Namco lo sfruttò così a fondo da rendere impossibile qualunque tentativo di conversione per le console esistenti al momento del rilascio arcade.
La realizzazione grafica dei protagonisti è incredibile, essi emanano carisma da ogni poligono a tal punto che è davvero difficile scegliere il proprio preferito; pazzesca su tutte la resa grafica di Inferno. I movimenti sono studiati al millimetro e se è presente una minima (molto minima) quantità di flickeraggio è solo a causa di un processore che domanda a gran voce pietà. Va notato come sia possibile selezionare due versioni dello stesso personaggio (addirittura tre per alcuni) completamente diverse l’una dall’altra.
Ad essi si aggiungono locazioni a di poco maestose sia per realizzazione tecnica (sapientissima mescolanza di 2 e 3d) che soprattutto per presenza scenica: raramente si sono riviste ambientazioni così ispirate e particolareggiate. Oltretutto, esse sono state realizzate tenendo ben presente il personaggio che vi ha dimora, donando al tutto una sensazione di amalgama perfetto.
Le armi meritano un discorso a parte: allucinante la realizzazione di alcune di esse (guardare i dettagli della seconda spada di Siegfried per conferme) come splendidi sono gli effetti visivi ad esse correlati; è, a tale proposito, stupefacente la scia di luce che creano ad ogni movimento, così come è stupefacente l’effetto che accompagna lo scontro fra due di loro (tipicamente durante una parata), con particelle di metallo che schizzano in ogni direzione in maniera davvero straordinaria.
Del resto, per valutare la bontà del motore grafico basta osservare la schermata di selezione dei personaggi: anche solo osservando i loro ritratti si evidenzia la cura maniacale riposta nell’opera.
Giudizio: S
Giudizio: S

Sonoro

Tradizionalmente elemento più trascurato nel processo produttivo di un videogioco, il sonoro assume nel caso di Soul Calibur una valenza propria che travalica l’aspetto tecnologico per elevarsi a forma d’arte.
Sinfonie classiche maestose, che lasciano impietriti quanto a qualità e raffinatezza, accompagnano i luoghi dove si consumano gli scontri quasi fondendosi ad essi, diventando tutt’uno coi palazzi, le scogliere, le roccaforti che andremo a visitare. Si può affermare con certezza che la composizione dei pezzi sia stata baciata dal sacro fuoco dell’arte.
Superbi anche gli effetti sonori, senza dubbio i migliori mai realizzati per un picchiaduro all’arma bianca. Il rumore dell’attrito prodotto dallo scontro fra due armi potentissime è reso eccezionalmente bene, così come i vari effetti relativi ai colpi subiti da un lottatore.
Come se non bastasse, il doppiaggio relativo a ogni protagonista è a dir poco eccelso, con varie voci perfette per ogni personaggio che interpretano magistralmente sia gli urli dovuti alla battaglia sia i dialoghi presenti in abbondanza nella versione giapponese del gioco.
Sono ormai passati tanti anni ma finora non ho mai sentito niente di meglio in un picchiaduro. Forse addirittura in un videogioco.
Giudizio: S
Giudizio: A

Giocabilità

Anche in questo caso non si può fare altro che tessere le lodi del prodotto.
La miriade di novità e migliorie introdotte nel titolo vanno a incastonarsi in un sistema di gioco straordinariamente intuitivo e valido, che non perde mai un colpo ed è in grado di risultare incredibilmente moderno e profondo a distanza di quasi dieci anni.
Menzione d’onore per il roster dei personaggi: non credo di aver mai più rivisto un gruppo del genere in un picchiaduro a incontri, diciassette protagonisti selezionabili che si rubano letteralmente la scena l’uno con l’altro con il loro aspetto fantastico e il loro repertorio di mosse ricolmo di eleganza e stile. Imparare a usare i personaggi porta soddisfazioni immense e fra essi troverete senz’altro colui o colei che vi esalterà in maniera esagerata.
Per chiarire la pignoleria riposta nel prodotto dai programmatori basta pensare che perfino i replay possono essere guidati dall’utente in una sorta di regia virtuale e che le pose di vittoria, quasi sempre parecchio coreografiche, possono essere scelte in base al tasto premuto durante il replay o in base alla direzione impressa al joystick (in questo caso vedrete una versione alternativa delle stesse).
Questo gioco rappresenta semplicemente il miglior connubio fra tecnica e spettacolo che allo stato attuale delle cose il mondo dei videogiochi abbia mai saputo creare.

Giudizio: S

Longevità

Come sempre il parametro è decisamente soggettivo, ma in questo caso è impossibile sfuggire all’imprinting che il gioco instaura con l’utente: dieci minuti di pratica e si può cominciare a sperimentare.
Il solo carisma dei lottatori basterebbe ad attrarre quasi all’infinito, se poi sommiamo una realizzazione tecnica quasi miracolosa e una spettacolarità senza pari facciamo davvero fatica a pensare che qualcuno possa disdegnare un prodotto del genere. Oltretutto, un completo versus mode con tanto di livelli e armi selezionabili (possibilità precluse al gioco in singolo) rappresenta uno stimolo ulteriore alla ripresa del gioco.
Giudizio: A
Giudizio: A

Conclusioni

Capolavoro con la C maiuscola nonché rarissimo esempio di gioco senza difetti, Soul Calibur ha letteralmente rappresentato un punto di arrivo per il mondo arcade oltre il quale, ci si rese conto ben presto, era molto difficile andare. Del resto basta pensare che la conversione uscita l’anno dopo per la neonata Dreamcast fu così inaspettatamente superiore all’originale (non a caso è tutt’oggi considerata la miglior conversione da arcade mai realizzata) da avere un impatto devastante sul mercato, tanto da “certificare” in un certo senso la crisi definitiva del mercato arcade a favore di quello casalingo.
Giustamente accreditato come una delle ultime pietre miliari dell’universo videoludico, Soul Calibur ha superato la prova del tempo in modo trionfale e ha ampiamente meritato di entrare nell’olimpo dei migliori.
E lassù, credetemi, sono davvero in pochi.

Giudizio finale: S

- LastNinja2

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